mercoledì 1 ottobre 2014

Il pendolino - Capitolo 1 - Il punto di vista di lei (Filely)



Di nuovo sul treno, stesso luogo, stessa routine. Ricominciamo. Prendo posto nella poltroncina vicino al finestrino, almeno posso guardare il panorama mentre la musica rimbomba nelle mie orecchie. Sono rientrata dalle vacanze, se così si possono definire, già da tre settimane, ma il mare mi sembra un ricordo lontano. Appoggio la testa allo schienale e chiudo gli occhi. Se non porta ritardo, tra un’ora dovrei giungere a destinazione. Il treno non è ancora pieno, ma tra poco lo sarà. La scuola è cominciata, quindi il cinquanta percento dei passeggeri sono studenti rumorosi, motivo per cui non abbandono mai il mio ipod. Il restante cinquanta invece, sono uomini e donne che come me, vanno a lavorare. Non che li abbia mai guardati con attenzione,  di solito, infatti, entro, mi fiondo nel primo posto libero e mi perdo tra i miei pensieri ascoltando la musica. Quando riapro gli occhi vedo che accanto a me si è seduta una signora, l’ho già vista altre volte, ma non le ho mai parlato. Ogni tanto mi sorride a mò di saluto. Ha dei bellissimi occhi nocciola ma il suo viso è stanco, pieno di rughe sotto gli occhi e anche le mani sono vissute e trasandate, ma sorride sempre, con una gentilezza innata. Di fronte a me invece c’è uno studente, seduto in maniera scomposta, noncurante di nessuno, capelli rigorosamente laccati che non si muoverebbero nemmeno sotto le raffiche del maestrale, orecchino al naso e aria strafottente. Alzo il sopracciglio non appena lui mi fa l’occhiolino e richiudo gli occhi per evitare di rispondergli male. Sono inquieta oggi, ancora assonnata e con una voglia di vivere pari a zero. Le giornate si susseguono, senza nulla di nuovo e io ho bisogno di novità, di altri spunti, di nuovi input.  Mi estraneo un’altra volta, mentre Ligabue canta Piccola stella senza cielo. Credo di essermi assopita, guardo l’orologio, manca ancora mezz’ora. La signora dagli occhi nocciola  è sempre accanto a me, penso che dorma. Lo studente invece ha il telefonino in mano e fa quello che ormai fa il resto della popolazione “what’s appa”. Ho anche io what’s app ma non lo uso mai, l’entusiasmo iniziale è scemato nel tempo, anche perché per usarlo devi avere dei contatti e che contatti ho io? Nessuno, a parte qualche ex compagna di scuola trasferitasi chissà dove per realizzare uno dei tanti sogni. Sì, i sogni, quelli che sono nel cassetto e che rimangono chiusi lì per una vita. Anche io ho un sogno ma ho deciso di sotterrarlo, altro che cassettiera. Il mio non è in un bel settimino antico, no, è sotto terra, seppellito tra le cose che non accadranno mai. Ci ho rinunciato ancor prima di sognarlo, ma d’altronde come fai a sperare se sai già che non c’è speranza? Scuoto la testa leggermente come a voler cacciare via quel pensiero ed è lì che mi accorgo di lui.
Chi è?
È la prima volta che lo vedo, non mi pare di averlo mai notato. È seduto accanto allo studente bullo e sembra che stia guardando me.
O no?
Non è facile capirlo visto che ha gli occhiali da sole. E per di più sta piovendo.
A che gli servono gli occhiali?
Arriccio il naso mentre mi rendo conto che ultimamente tutto mi infastidisce.
Sarà apatia?
Mi volto verso il finestrino e guardo fuori, ma nulla cattura il mio interesse se non l’immagine riflessa di lui. Sì lui. La prima domanda che mi frulla per la testa è: “Di che colore ha gli occhi?” E più me lo chiedo, più la mia curiosità aumenta. Ho quasi voglia di alzarmi e togliergli gli occhiali. Sono esterrefatta, questo strano entusiasmo di sapere mi lascia basita. Non è da me. Occhiate sommarie, sguardi spenti, nient’altro. Eppure quel ragazzo mi incuriosisce, ma non è voglia di conoscerlo, no, è voglia di immaginare chi è, cosa fa, come si chiama e di che colore ha gli occhi. Oh gli occhi, potrei morire di curiosità se non scopro di che colore sono.
«Che tempo di merda» esclama il bullo strafottente che prova ad attaccar bottone.
«Sì» mi limito a dire. «Non c’è il sole» aggiungo.
Hai capito? Non c’è il sole. Togliti gli occhiali!
Mi rivolgo mentalmente al tizio sconosciuto che non si muove di un millimetro. Comincio a pensare che sia un mimo o un artista di strada, di quelli che non so come, riescono a stare immobili come statue. Tra un’occhiata furtiva e un’altra, mi accorgo che ha i capelli neri e un lieve accenno di barba. Troppo poco per capire chi è. Fingo noncuranza e richiudo gli occhi. Vediamo se riesco a immaginarlo. Disegno mentalmente la sua immagine, ma è sfocata, ho pochi dettagli. Mi sforzo. Ha gli occhi neri, sì, neri. Ho deciso, anche se la mia teoria non mi convince. Tossicchio e sbircio di nuovo, mi servono altri particolari. È alto, parecchio direi, la poltroncina sembra piuttosto piccola per lui, ha delle belle mani, una bella bocca ma è antipatico, sì, mi sembra troppo sicuro di sé. Postura decisa, mascella contratta… Tipico uomo Denim: quello che non deve chiedere mai.
Puff.
Sbuffo difronte a cotanta sicurezza e sorrido sotto i baffi immaginando le sue pseudo certezze sgretolarsi come un castello di sabbia colpito da un’onda.
«Siamo arrivati con due minuti di anticipo» ci comunica la signora dagli occhi buoni e dal dolce sorriso, guardando l’orologio che ha al polso.
Miracolo!
Lo studente si alza per primo, seguito dalla signora. Lo sconosciuto dagli occhiali da sole resta seduto e io pure. Il treno si è quasi svuotato ma lui non accenna ad alzarsi. Mi alzo, si alza anche lui. Rimane fermo, sto per superarlo ma lui si mette davanti, dandomi le spalle e tagliandomi la strada.
Quanto sei arrogante!
La supposizione sulla sua probabile antipatia diviene una fulminante certezza. Antipatico! Antipatico! Antipatico!
Menomale che non può sentirmi. Cammino dietro di lui che si muove a passo di lumaca. Se continua così arriverò in ritardo al lavoro. Il suo telefono inizia a squillare. Si ferma.
 No!
«Mi scusi» dico in tono palesemente scocciato.
Lui si sposta, non ha ancora risposto alla chiamata. Mi guarda o almeno penso che lo stia facendo. Io gli lancio un’occhiataccia di quelle che non ti lasciano scampo.
Non rispondi? Dai rispondi, così sento la tua voce.
Prego mentalmente, ma niente, non risponde. Non solo non conosco il colore dei suoi occhi, ma nemmeno il timbro della sua voce. In realtà non conosco nulla e quel pensiero mi angoscia.
Perché?
Gli lancio un ultimo sguardo e mi dileguo tra la folla che assedia la stazione.
Lo rivedrò?


…to be continued

Filely/DamonEd© 2014


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