lunedì 13 ottobre 2014

Il pendolino - Capitolo Cinque - Il punto di vista di lei (Filely)


Mare Liquido
Il mio fine settimana è stato devastante. Ho trascorso sabato e domenica a pensare ai suoi occhi, ammesso che si possano definire così. Avete presente l’acqua limpida e cristallina? Beh, sono ancora più incredibili e ti ci puoi specchiare. Hanno un colore che è difficile da definire: verde, azzurro, grigio. Immaginate questi colori che si mescolano a crearne uno solo… Un capolavoro, ecco cosa sono quel paio di occhi e questo spiega perché, mossa dalla rabbia e dalla curiosità che mi divorava, gli ho sfilato gli occhiali e sono rimasta incantata. E come se non bastasse i raggi del sole hanno contribuito a rendere quello spettacolo ancora più sconvolgente. Pensate al sole quando colpisce il mare… Avete presente quei giochi di luce che ti lasciano a bocca aperta? Ecco, è quello che è successo a me. Sono rimasta a fissarlo, trattenendo quasi il respiro.
Potevo morire. Vi rendete conto? L’incanto però si è dissolto quando l’odioso ha sfoderato il “ghigno malefico” più seducente del suo repertorio, aggiungendo una delle sue frasi pungenti e mirate.
È insopportabile. È irresistibile. È la mia nuova condanna.
E adesso che lo sconosciuto, non più tanto sconosciuto, ha una voce e due occhi, una nuova domanda fa capolino nella mia mente e mi assilla.
Qual è il suo nome?
Scuto la testa, mentre salgo sul treno che è fermo in stazione e credo di non essere mai stata più felice di così. È lunedì, ma non un solito noioso lunedì, non quei lunedì che vorresti non arrivassero mai. È un nuovo lunedì, un lunedì che attendevi con ansia. È il primo lunedì in cui io sono contenta che sia lunedì e non perché improvvisamente ho voglia di andare a lavorare, no, è un magnifico lunedì solo perché lo rivedrò. Percorro il corridoio e mi guardo intorno, cosa che non faccio mai.
Dov’è?
Non riesco a scorgerlo da nessuna parte e il non vederlo mi fa rattristare.
Possibile mai che il mio umore possa dipendere da un pallone gonfiato presuntuoso ma tremendamente attraente? Sì, è possibile.
Continuo a camminare e finalmente lo vedo. Stamattina niente Ray-ban… sono quasi delusa.
Perché non ha gli occhiali?
Guardarlo ora mi sarà impossibile, perché almeno prima c’erano le lenti a nascondere il suo sguardo e se lo guardavo, potevo anche stupidamente convincermi che lui non se ne accorgesse.
Che scongiura!
Mi siedo difronte a lui e non appena mi guarda gli sorrido.
Oh oh qualcosa non va. Cosa?
Sembra triste, assente… non saprei. È difficile decifrare il suo sguardo, ma è pensieroso e i suoi occhi sono ancora più belli di come li ricordavo.
Il mio cervello inizia a farsi domande, troppe.
Cos’hai odioso? Dov’è sparito il tuo ghigno malefico?
Continua a guardare fuori dal finestrino e nonostante sono sicura che sappia che lo sto guardando, mi ignora completamente e io gli ho pure sorriso.
Brava Selene, brava!
Cerco l’ipod nella borsa, provo ad accenderlo ma non funziona.
Maledizione!
Inizio una lotta contro quell’aggeggio che mi sta rendendo nervosa e alla fine sbuffo arrendendomi.
«Fammi vedere» dice lui sfilandomelo dalle mani.
Immagino che sia casuale la carezza delle sue dita sulla mia pelle, ma ciò non toglie che mi vengono i brividi.
«Grazie odioso» mormoro facendogli l’occhiolino.
Sorride e il suo ghigno malefico è di sicuro più affascinante del muso lungo che aveva fino a poco fa, ma purtroppo dura poco.
«Qualcosa non va?». Gli chiedo quando mi restituisce l’ipod che nelle sue mani ha deciso di funzionare di nuovo.
«No pel di carota. Sto bene. Ti preoccupi per me?».
Sento le mie guance prendere fuoco e mi maledico per la mia stupida decisione di essere quantomeno cordiale. Non puoi essere gentile con un essere arrogante e borioso come lui.
«No, non mi preoccupo per te. Non so nemmeno come ti chiami. Figuriamoci».
«Un nuovo quesito affligge la tua testolina. Bene, bene…».
Riprende il suo solito atteggiamento da “sono sicuro di me” e “sono maledettamente odioso ma amo esserlo” e io ci metto poco a irritarmi.
«Perché devi prendere ogni cosa che dico come una sfida? Non puoi semplicemente dirmi come ti chiami?».
«No, non posso altrimenti non mi diverto. Non mi piace la monotonia, non amo le cose scontate. Vuoi sapere qualcosa? Devi sudartela pel di carota».
«Hai intenzione di farmi esaurire per un nome? E smettila di chiamarmi pel di carota. Il mio nome è Selene».
Alzo un po’ la voce e vedo qualche testa voltarsi verso di noi.
Perfetto ora siamo anche gli zimbelli del pendolino!
«Se pensi che ti pregherò, sappi che ti sbagli di grosso» borbotto scocciata.
Finirà mai di torturarmi con i suoi giochetti?
Incrocio per un attimo il suo sguardo e mi domando cosa sta studiando quel cervello fuso che si ritrova.
«Hai un bel nome Selene. Mi piace. È  bello quasi quanto pel di carota» dice piegando le sue labbra in quel sorrisetto perfetto. «il mio inizia con la M» mormora «vediamo se indovini» continua facendomi l’occhiolino.
E io mi perdo nella sua voce che sussurra il mio nome e nei suoi occhi che mi scrutano.
«Mare liquido» bisbiglio, dopo non so quanti attimi di trance.
«Cos’hai detto?».
«Niente, niente. Parlavo da sola».
Complimenti Selene, ti fai prendere pure per folle!
Ma meglio essere scambiata per pazza e non ammettere che sto nuotando in quel mare trasparente che sono i suoi occhi, quel mare che sembra nascondere un grosso mistero, e un mare che mi attira, mi chiama ma ho paura, paura di annegare in quelle acque, paura che un’onda mi possa trascinare al fondo. L’associazione che la mia mente ha deciso di fare mi agita.
Mare… Amo il mare, odio il mare.
Chiudo gli occhi per un attimo, o forse per più tempo. Non lo so.
No Selene, no. Non tornare lì, non pensarci.
Sento freddo, troppo. Ho paura. I battiti del mio cuore accelerano, faccio fatica a respirare.
Calmati, calmati. Non qui Selene, non adesso.
La sua mano si appoggia sulla mia. Apro gli occhi. So di averli lucidi, ma non ci sono lacrime. Deglutisco e mantengo lo sguardo sulle nostre mani. Lui non dice niente, si limita a stringere le sue dita attorno alla mia mano congelata. La sua invece è caldissima e mi riscalda. Non so cosa fare. Non voglio alzare gli occhi, non voglio che capisca.
Illusa, ha già capito.
La mia psiche sa il fatto suo, ma io non voglio far trasparire nulla.
«Scusami, mi devo essere appisolata».
Trovo una banale scusa, ma non credo che abbia avuto l’effetto desiderato, in compenso però ho la divina provvidenza dalla mia parte. Il treno si ferma e io posso alzarmi e sfuggire ai suoi occhi e alla sua mano che è ancora sulla mia.
«Il nostro colloquio giornaliero è terminato odioso» borbotto.
Lui stacca la sua schiena dalla poltroncina e si avvicina a me.
«Mi chiamo Manuel» sussurra al mio orecchio.
Si scosta, mi guarda…
Mare liquido.
Mi sfiora il viso, una fugace carezza, poi si alza e se ne va, lasciandomi lì, tra il sollievo e la confusione.

…to be continued.

                                         Filely/DamonEd© 2014

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